Napoli è città, ci piace ribadirlo, pregna di storia e cultura stratificata, che sovente si riflette nelle preparazioni gastronomiche, in questo caso dei dolci tipici della tradizione.
Da anni, nelle regioni del centro e del Sud Italia, per la tradizionale festa del Papà del 19 Marzo, giorno di San Giuseppe, si preparano le omonime zeppole fritte, vanto della pasticceria italiana, usanza radicatasi particolarmente nella città di Napoli, con numerose pasticcerie che ne offrono un’interpretazione rigorosa.
Anche in questo caso, le origini sono “sincretiche”, misto di paganesimo e religiosità cristiana, come in tante festività ed usanze inveterate, a noi pervenute, e che ci fregiamo di celebrare nei ristoranti del nostro albergo.
Dagli atti dell’epoca, la prima menzione di tale preparazione pasticciera risalirebbe addirittura nel 500 a.c., anno della fuga in Egitto della sacra famiglia, in cui si sostiene che San Giuseppe, per sostenere economicamente la propria famiglia, dovette affiancare al mestiere di falegname quello di friggitore e venditore ambulante di frittelle. Tale narrazione trova puntuale riscontro nell’emersione della figura dei cosiddetti “zeppolari di strada”, che esponevano al pubblico passaggio queste dolci creazioni, vendendole, oggi diremmo, “on-the-go” (sarà stato lo “Zi Paolo – da qui probabilmente l’etimologia del nome – il primo a proporla?).
Un’altra versione, invece, ci ricondurrebbe ad una tradizione squisitamente pagana, cioè delle festività svolgentesi sin dall’antica Roma, celebrate a ridosso dell’equinozio di Primavera, che omaggiavano la ritualità agraria, danzando intorno a dei falò, e mangiando, condividendole, delle frittelle ricoperte di miele, dal 1968 divenendo prassi consolidata nella festa di San Giuseppe – coincidente con quella del Papà, per origine legislativa.
La prima formalizzazione di tale ricetta si deve ad Ippolito Cavalcanti, il quale, nel suo “Trattato di cucina teorico-pratica”, ne trascrisse la ricetta in lingua – guai a chiamarlo dialetto – napoletana.
Ingredienti essenziali, acqua, farina, liquore d’anice, marsala, sale zucchero, olio per friggere, per una forma divenuta successivamente iconica, trattandosi di un bignè fritto ripieno di crema pasticciera, sulla cui sommità è posta un’amarena o una ciliegia sotto spirito.
In una delle piazze più scenografiche e suggestive di Napoli, Piazza S. Domenico Maggiore, ci permettiamo di consigliare, anzitutto, la Pasticceria Scaturchio, tra le più antiche e rinomate della città, che annovera fra i propri vanti proprio la zeppola, fritta e nella variante al forno. Un locale raffinato e caratteristico, non lontano dalla Cappella di S. Severo, capace di interpretare al meglio la tradizione della pasticceria partenopea fatta di dolci grandi e voluttuosi, spesso con la presenza di crema – come nel caso della zeppola – e soprattutto senza l’uso di semilavorati industriali, additivi gommosi e conservanti.
Vi porteremo poi da Carraturo, sin dal 1837, giunti alla quinta generazione della stessa schiatta familiare, gestita oggi dai fratelli Udelrico e Alessandro, con un assortimento fresco quotidiano, ed ingredienti di prima qualità. Fra gli altri dolci, ritenuti eccellenza di tale laboratorio, anche la pastiera, composto da una pasta frolla friabile ed un ripieno cremoso a base di ricotta e grano, altro grande classico della nostra tradizione pasticciera.
Infine, impossibile non menzionare l’altra leggenda della pasticceria Pintauro, ideatore della rinomata sfogliatella, il quale ha provveduto ad una sostanziale rivisitazione dell’impasto originario della zeppola, aggiungendovi strutto e altri aromi, e addirittura friggendole due volte, conservandone la fragranza e non rendendola mai unta.
Potremmo concludere questo contributo con le parole dell’immenso scrittore Goethe, cantore immenso delle bellezze paesaggistiche, culturali ed antropologiche della nostra terra, il quale, già in un suo testo del millesettecento, ne descriveva la preparazione, ed il momento della dazione al popolo che ne era ghiotto, a sottolinearne la natura conviviale e popolare:
“la festa di S. Giuseppe era la festa di tutti i frittaroli, cioè i venditori di pasta fritta……sulla soglia delle case, grandi padelle erano poste sui focolari improvvisati…..dopo la preparazione, c’erano numerosi garzoni che le offrivano, passandole da uno spiedo al popolo festante, in una felice libagione”.