Il jazz, come genere musicale, ha sempre avuto i suoi linguaggi da codificare, e Wayne Shorter ne è stato uno dei principali ermeneuti-interpreti, contribuendone a restituirne la complessità, ed insieme, scardinandone le regole dall’interno, alfine di comunicarlo al grande pubblico.
Compositore, sassofonista, considerato uno dei più grandi musicisti a livello internazionale, Shorter è nato il 25 Agosto del 1933 a Newark, New Jersey, ed è deceduto a Los Angeles il 02 Marzo 2023, lasciando un retaggio musicale per certi versi ancora inesplorato, uno dei più importanti del ventesimo secolo, dividendo il palco con musicisti del calibro di Joni Mitchell, Carlos Santana, Steely Dan, Miles Davis, Bob Dylan e Rolling Stones.
Gli esordi come clarinettista, poi devoluto completamente alle possibilità espressive del sax tenore, esordì nel 1959 con Art Blakey ed i Jazz Messengers, divenendone in poco tempo alfiere, e qualche anno dopo entrò nella leggenda, divenendo solista nel secondo quintetto di Miles Davis, con il pianista Herbie Hancock, il contrabbassista Ron Carter ed il batterista Tony Williams.
Alcune delle sue composizioni standard – brani come “Nefertiti”, “Speak no evil”, “Black Nile” – sono diventati dei paradigmi esecutivi a livello armonico, contribuendo ad ampliare i confini del Jazz, fusion, americana, traghettandolo nella “fusion”.
Numerose anche le sue incursioni in generi contigui, come rock, soul, rhythm and blues, che negli anni gli hanno valso il conseguimento di ben 12 Grammy Awards, con oltre venticinque album pubblicati, non ultima, per noi napoletani, quella nella musica della nostra città con Pino Daniele, suonando il sax nell’album “Bella m’briana”, quinto in studio del bluesman partenopeo.
“Pino è la quintessenza della musica – diceva di lui Shorter – un gitano, un innovatore, che voleva cambiare radicalmente la musica della sua città, nel solco della tradizione, riuscendoci pienamente”, mentre l’Italia vinceva i Mondiali di calcio del 1982 e lui ridefiniva i confini della fusion, fondando i Weather Report insieme a Joseph “Joe” Zawinul.
Shorter con i suoi assoli ha rifinito con venature jazz, nel suddetto album, brani di Daniele come “Io vivo come te”, “Toledo”, “Maggio se ne va” a chiusura del disco, contribuendo a restituire quell’influenza di world music che si mescola al folklore partenopeo, in un’amalgama indimenticabile che ha segnato la storia dell’intera musica italiana.
Numerose sono state le occasioni in cui Shorter ha avuto modo di suonare in Campania in veste solista o con i suoi gruppi, dal Festival di Ravello al Pomigliano Jazz sino a Marcianise, prescegliendo spesso il Grand Hotel Parker’s come propria struttura di riferimento per i soggiorni, essendo innamorato dell’ubicazione del nostro albergo, con lo splendido panorama di riferimento.
Cinque anni fa il prematuro ritiro, per insorti problemi di salute, senza tuttavia mai smettere di comporre, la sua vocazione primigenia, amava definirla: John Patitucci al basso, Brian Blade alla batteria e Danilo Perez al pianoforte lo accompagnavano con la riverenza che si deve ai maestri, per un combo di eccellenza apicale.
L’ultimo tour europeo, quindi, con la notabile esibizione al North Sea Jazz Festival, e poi il rientro in America, sulla west coast, a Los Angeles, ove trascorse gli ultimi anni della sua vita, circondato dall’affetto della sua famiglia e dei suoi cari.
Da non perdere il documentario disponibile su Amazon, titolato “Wayne Shorter Zero Gravity”, un documentario in tre parti che ne celebra la figura, diretto da Dorsay Alavi e prodotto da Brad Pitt e Carlos Santana.
Diviso in tre parti – prima infanzia, iniziazione musicale ed ascesa, seconda successi commerciali dal 1972 al 1990, terza dagli anni 2000 in poi, quelli “della maturità” – questo docufilm non rappresenta solo uno sguardo alla sua vita, ma anche uno straordinario incoraggiamento per tutti i musicisti che verranno, traendo linfa vitale dal suo patrimonio musicale.