Più volte abbiamo evidenziato l’origine stratificata delle tradizioni mitologiche napoletane, ma su San Gennaro è necessaria la maggiore puntualità possibile, attese le dimensioni del culto da cui è circonfusa l’icona, di carattere quasi esoterico, inscindibile connubio fra fede e superstizione.
Molteplici sono i misteri legati al culto ed alla sua storia, a partire dalla datazione esatta della nascita: vi è una relativa concordia nel determinarla nel 21 Aprile dell’anno domini 272 d.c., ma sulla città natale le opinioni divergono, per alcuni si tratterebbe di Napoli – anche se il Santo fu ucciso per il tramite di decapitazione in quel di Pozzuoli – per altri invece di Benevento, di cui il Santo fu vescovo.
Amato anche nel proprio percorso spirituale di evangelizzazione, il Santo fu venerato in maniera quasi parossistica e diffusa, se pensiamo che era circondato del rispetto e della considerazione non solo dei cristiani, ma anche dei pagani che incontrava sul proprio cammino.
A proposito degli ultimi giorni di vita del Santo, la tradizione ha tramandato diversi racconti sul martirio di San Gennaro, in uno di questi si narra che delle fiere, animali feroci, dinanzi alla presenza del Santo si fossero ritratti ed inginocchiati in seguito ad una sua successiva benedizione, miracolo ritratto nel celebre dipinto di Artemisia Gentileschi, evento che tuttavia non gli risparmiò una fine orribile.
Le reliquie del Santo furono prima portate a Napoli nelle Catacombe di San Gennaro a Capodimonte, per poi essere trafugate e portate a Benevento nell’831 d.c., in occasione dell’assedio della città, in ultimo trasportate nell’abbazia di Montevergine, dove se ne persero le tracce, sino al 1498, in cui i resti furono definitivamente portati nel capoluogo partenopeo, infine conservati nella Cappella del Succorpo, cripta del Duomo.
Il sangue del Santo fu anche conservato nelle apposite ampolle all’interno del Duomo di Napoli, dopo essere stato raccolto da una donna di nome Eusebia, che lo prelevò subito dopo la decapitazione che gli infersero.
L’evento più miracoloso afferente San Gennaro, a cagione della sua successiva santificazione, fu quello avvenuto durante l’eruzione del Vesuvio del 1631, quando in seguito alla processione delle insegne il sangue si sciolse, e la colata di magna che si propagò si arrestò improvvisamente: era il 16 Dicembre, ebbene, e da quel giorno, ogni anno, i napoletani attendono il ripetersi del miracolo.
Un miracolo che si reitera annualmente durante tre cadenze, tre date ormai divenute di ieratica ritualità per i cittadini: il 16 Dicembre, il 19 Settembre, durante la festa cittadina dedicata alla celebrazione del Santo, ed infine il Sabato che precede la prima Domenica di Maggio, per commemorare il giorno in cui i resti del Santo furono traslati nelle catacombe di Capodimonte.
Nel 1646 fu completata la magniloquente Cappella del Tesoro di S. Gennaro, forse l’acme dell’arte barocca in città, caratterizzata dalla circostanza, unica in città, che non rientra nei beni della Curia, bensì all’insieme della popolazione, rappresentata elettivamente dall’antica istituzione laica della Deputazione del Tesoro, in carica dal 1601 e tutt’ora esistente.
All’interno della stessa è oggi ospitato il Museo del Tesoro di S. Gennaro, una inestimabile ed unica raccolta di composta dai doni offerti da Papi, Imperatori, notabili di corte e personalità varie, nel corso dei secoli per garantirsi la sua protezione ed intercessione, ma anche gente comune, a titolo di ex voto.
Tra i prezzi più preziosi, la mitra, nella quale sono incastonate circa quattromila pietre preziose, e la collana, alla quale sono state aggiunte monili e pietre preziose donate da personalità come Carlo di Borbone e Vittorio Emanuele III di Savoia, ed infine le Insegne dell’Ordine di Gennaro, ma anche una collezione di argenti e dipinti di grande pregio.