Spiace contraddire un filosofo come David Hume, il quale sosteneva che “la bellezza non è una qualità delle cose stesse, ma essa esiste solamente nella mente che la contempla”.
Da questo punto di vista, andremo alla ricerca di una sorta di categoria ontologica della bellezza, ovverosia dello stile architettonico del quartiere Chiaia, fra influenze liberty e art noveau, con grande prevalenza del primo. Come è noto, l’architettura liberty in Italia si sviluppò proprio con l’avvento del nuovo secolo, e fu definito significativamente come “arte floreale”, naturalistico nella sostanza ma decorativistico nella forma; tra le città italiane interessate dal fenomeno, ovviamente, anche il nostro amato capoluogo campano, anche se probabilmente fu Torino, conclusasi l’epoca Sabauda, la cosiddetta capitale italiana di tale stile architettonico. Cristallizzata nella sua eleganza e bellezza ottocentesca, la città e tutto il popolo napoletano non avrebbero potuto immaginare i sommovimenti che sarebbero arrivati con il Novecento, il secolo delle contraddizioni e dei grandi rivolgimenti democratici: nelle strada del nascente quartiere Chiaia, purtuttavia, l’esigenza precipua era quella di urbanizzare, di concepire un’area d’intervento adeguata per ottantamila abitanti, edificando palazzi al posto della Villa Comunale, spingendosi con i manufatti sino a pochi metri dal mare. La città, allora, volle dotarsi di un quartiere ispirato a questi stilemi architettonici, che di là a qualche anno avrebbero lasciato il passo al razionalismo di ispirazione fascista: pur se non dotato della stessa valenza anarchica e palingenetica sotto il profilo espressivo, analogamente a quanto accadde in Francia o in Austria, l’Art Noveau ha innestato un concetto di decoro e gusto ornamentale, che permane anche in epoca attuale, rendendo Chiaia il vero salotto di Napoli, certamente il quartiere più easy-chic. Volendo procedere ad un’elencazione dei principali edifici, rappresentativi di tale avanguardie culturali ed architettoniche, di sicuro possiamo partire dall’ albergo Parker’s che ci ospita: George Parker, il leggendario fondatore, evitò il fallimento dell’Albergo Tramontano, sorto nel 1870 sulle fondamenta di una masseria di proprietà del principe Salvatore Grifeo, dalle spiccate suggestioni moderniste, dando luogo ad una ristrutturazione massiva, inaugurando cosi la fortunata stagione dell’albergo più antico di Napoli, con una splendida terrazza liberty, con la sua meravigliosa balaustra in ferro lavorato, che domina l’intero golfo di Napoli, da Posillipo sino al Vesuvio. Proseguendo per il quartiere Chiaia, volendo menzionare altri notabili manufatti, si passa dalla Palazzina Velardi, ubicata nel rione Amedeo, tra i tornanti delle rampe Brancaccio, arrivando alla Palazzina Rocco, in Via del Parco Margherita; camminando lungo la Via dello shopping per antonomasia, Via Filangieri, all’angolo con Via dei Mille, ci si imbatte nel maestoso Palazzo Mannajuolo, considerato non a torto come l’opera paradigmatica dell’intera produzione floreale a Napoli, e del rione in generale. Eretto tra il 1909 ed il 1911, il Palazzo prende in prestito il nome da uno dei tre ingegneri che lo eresse, per farne un edificio che ospitasse case e negozi: di forma ellissoidale, costruito con marmi a sbalzo e ringhiera in ferro battuto, la scala è un vero e proprio capolavoro di ingegneria strutturale, con delle linee curve delle rampe, che incorniciano un simbolico cielo dipinto. Una curiosità, in queste sale vi fu la prima rappresentazione, il 21 Dicembre del 1931, della commedia “Natale in casa Cupiello”, essendo per un periodo Palazzo Mannajuolo divenuto un cinema teatro, Kursaal, oggi Filangieri. La Compagnia De Filippo, che rappresentò la piece, con il suo fondatore Eduardo, divenne celebre in tutto il mondo, al punto che Mussolini, il quale autarchicamente proibì i dialetti e le identità linguistiche autonome, esclamò solennemente: “I De Filippo non si toccano”!