Affianco all’immortale Antonio De Curtis “Totò”, non possiamo dimenticare l’altrettanto leggendario Enrico Caruso, nato a Napoli nel venticinque Febbraio del 1873, considerato uno dei più grandi tenori nella storia della musica classica.
L’anniversario dalla nascita ricorre a pochi giorni di distanza reciproci e, ironia della sorte, i due artisti sono sepolti a pochi metri di distanza l’uno dall’altro, essendo entrambi stati tumulati nel cimitero di Santa Maria del Pianto, alla Via Nuova del Campo, in Napoli, quartiere Doganella.
Origini umili nel popoloso quartiere di S. Carlo all’Arena, nato da un metalmeccanico e da una casalinga, determinante per la sua formazione fu l’assiduità all’oratorio nella chiesa di S. Anna alle Paludi e le prestazioni da salotto nelle case private, nei caffè e nelle rotonde balneari, con un repertorio composto prevalentemente da canzoni tradizionali napoletane, romanze popolari e arie d’opera.
Il debutto nel grande repertorio ebbe luogo al teatro Cimarosa di Caserta, a fine milleottocento, con Cavalleria Rusticana, e risale al 1896 l’esordio nei teatri napoletani del Bellini e del Mercadante, estendendosi le sue interpretazioni da Puccini – Manon Lescaut – passando per Leoncavallo – Pagliacci – sino ad arrivare a Verdi – Traviata e Rigoletto.
Decisivo fu l’incontro con il mecenate ed editore Sonzogno, con una serie di impegni che si assestarono in scritture di sempre maggiore portata, da un punto di vista stilistico facendo grandi passi avanti dai tempi delle sue recite partenopee.
Qui sovvenne la denominazione di Caruso come “star dei due mondi” se è vero che negli anni successivi, dopo trionfali tourneè in Russia e Cina, il nostro iniziò a fare breccia nel mondo anglosassone, con un trionfale debutto a Londra, nel prestigioso teatro del Covent Garden.
Sono gli anni dell’acme del successo, in cui Caruso diventa ricco, famoso, circondato da donne affascinanti come la sopra Ida Giachetti, con la quale metterà al mondo due figli, Enrico Junior e Rodolfo, con la quale tuttavia si separerà qualche anno dopo, poiché tradito.
Il resto appartiene alla leggenda, dopo i trionfi del Sud-America – Buenos Aires, Santiago e Rio – nel mese di Novembre ci fu la firma del contratto con la casa discografica Victor, e poi il lungimirante viatico americano del Metropolitan, con le prime ventinove delle circa seicento rappresentazioni che Caruso realizzerà per lo storico teatro newyorchese, nell’arco di diciassette stagioni, consacrando la sua gloria universale, informata ad un temperato distacco dai palchi nazionali.
Caruso viene anche ricordato come un avanguardista, forse il primo artista ad avere intuito le potenzialità dei media ed il ruolo di supporto della casa discografica mentre gli altri cantanti erano diffidenti nei confronti delle tecnologie, moltiplicando negli anni il costo degli ingaggi ed i cachet, con un’esposizione personale significativa.
Sfinito dagli impegni artistici e colpito da una grave forma di pleurite, negli ultimi anni della sua vita Caruso trascorre un periodo di convalescenza in Sorrento, dove giunge a visitarlo persino il “medico santo” Giuseppe Moscati, prima di morire a Napoli il due Agosto del 1921.
Quel soggiorno in penisola sorrentina ha ispirato Lucio Dalla, che gli ha dedicato una delle sue canzoni più belle, composta proprio in quei luoghi, divenendo una hit internazionale.
Oggi, finalmente, la città di Napoli ha un luogo dove ricordare l’uomo e l’artista: l’estate scorsa, infatti, ha aperto il museo ufficiale ad egli dedicato, nella sua casa avita alla Via S. Giovanni e Paolo civico 7, con cimeli ed oggetti che raccontano la sua vita e fama, dagli esordi sino al successo in America, con l’occasione di ammirare cimeli, lettere, foto, caricature e locandine, un grammofono del novecento ed un bastone da passeggio.
Il presidente della Regione De Luca, inoltre, ha deciso di intitolare proprio a lui la Stazione Marittima di Napoli, come omaggio perenne alla sua arte, ma anche alla fatica degli emigranti italiani, di tutto il mondo ed in ogni epoca.