James Brown – il padrino del soul ed il soggiorno partenopeo

Difficile restituire con le parole l’importanza del contributo che un artista come James Brown ha fornito allo sviluppo della musica contemporanea.
Basti pensare alla poliedricità della sua figura: cantante, compositore, musicista, showman, ballerino, si è collocato nel solco dei personaggi più influenti dello show-business, in compagnia di altri numi tutelari come Elvis Presley, Micheal Jackson e Prince.
Settimo nella lista dei più grandi artisti di sempre secondo la celebre rivista Rolling Stone, nella musica di Brown riecheggiano influenze fra le più disparate, dal gospel al rhythm and blues, dal soul al funk, dal rap alla psichedelia, non a caso è uno degli artisti fra i più campionati da autori successivi contemporanei.
Il prossimo 3 Maggio ne ricorre la data di nascita, esattamente il novantesimo anniversario, avendo il nostro artista avuto i natali il 3 Maggio 1933 a Barnwell, nella Carolina del Sud, dunque sotto il segno del Toro.
The godfather of soul, il padrino del soul, come era soprannominato Brown, fu protagonista di uno splendido tour, uno dei suoi ultimi attese le condizioni di salute, nell’anno 2003, dove si esibì alla mostra d’Oltremare con la sua orchestra, e naturalmente prescelse il Grand Hotel Parker’s per il suo soggiorno e pernottamento.
James Brown presentò il suo ultimo album – che fece da colonna sonora al film della saga di Rocky di Sylvester Stallone all’epoca uscito nelle sale – e fu anche una memorabile occasione per passare in rassegna tutti i suoi classici soul-funky, da “Night Train” a “Sex Machine”, da “Say it loud” a “Sex machine”, con degli arrangiamenti che misero in risalto la componente ritmica ed avvolgente del sound.
Gli esordi, tuttavia, furono alquanto complicati, nato in uno stato segregazionista, Brown si guadagnò da vivere come raccoglitore di cotone, lustrascarpe, abbandonato in tenera età dalla madre, cui era molto legato. Gli anni cinquanta e sessanta sospesi, fra il successo raggiunto con i suoi album – collezionando l’incredibile numero di quaranta dischi d’oro – e l’impegno ed il sostegno alle organizzazioni a difesa dei diritti degli afro-americani, esibendosi anche in occasione della commemorazione della morte di Martin Luther King.
Dovendo selezionare un album imprescindibile, impossibile non menzionare il leggendario doppio “Live at the Apollo”, che in poche settimane fece registrare delle vendite record, asseverando la notorietà dell’artista, estendendola agli estimatori del rap e del rock.
Riuscì, nell’arco della sua intera carriera, a trasmettere con la sua musica – ed i suoi testi – a trasmettere anche importanti messaggi di natura esistenziale e sociale, promuovendo anche la necessità della diffusione dell’istruzione fra gli strati sociali più umili ed arretrati.
Gli anni ottanta sono quelli dell’avvento della disco music, e saggiamente Brown dosa la sua esposizione mediatica, incentrandola sul cameo nella pellicola “The Blues Brothers”, insieme a Dan Aykroyd e John Belushi, avvicinandolo nuovamente al grande pubblico mondiale, sino a giungere, corsi e ricorsi storici, all’ultimo capitolo di Rocky, il IV.
Tante collaborazioni prestigiose negli anni successivi, e la prosecuzione dell’impegno civile nella lotta contro le disuguaglianze civili, soprattutto a favore delle popolazioni africane, culminate nella partecipazione al concerto “Pavarotti and friends for Angola”, insieme ad illustri colleghi.
Gli anni duemila furono quelli della malattia, un tumore alla prostata, che lo finì per uccidere, insieme ad una letale polmonite, nella notte di Natale del 2006.
Alla sua cerimonia funebre parteciparono tanti artisti, fra i più significativi della musica nera, come Micheal Jackson, Jimmy Cliff, Prince, Lenny Kravitz, Stevie Wonder, 50 Cent, Buddy Guy, Little Richard: ci piace pensare che il retaggio della sua musica viva in tutti coloro, e che abbia amato il golfo di Napoli, e le bellezze della città partenopea. L’Università degli Studi di Napoli Federico II, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua nascita, nel 2017, gli ha conferito una laurea Honoris Causa alla memoria in “disciplina della musica e dello spettacolo – storia e teoria”.