“Na tazzulella ‘e cafè”: la storia del caffè napoletano. Origine e genesi di una bevanda iconica


Il caffè partenopeo, bevanda stratificata culturalmente, sintesi liquida di orizzonti lontani, uniti in questa straordinaria miscela di olfatto e gusto.

Le origini si perdono nella notte dei tempi, anche se molti storici sono concordi nell’evidenziarne la corrispondente nascita nel “khave” – da qui l’etimo della parola – un brodino nero aromatico molto diffuso nella terra Sacra e nell’estremo oriente, tradizionalmente versato in piccole tazze di porcellana e, si reputava, dalle proprietà digestive e lenitive.


Poi, il salto logistico-geografico, con la venuta nella capitale Mitteleuropea per eccellenza, Vienna, ed i suoi raffinati locali d’epoca dove gustarlo, arrivando alla sua comparsa nel Meridione d’Italia. Necessario evidenziarne, al riguardo, la primigenia natura “elitaria”, nei salotti della Napoli aristocratica, grazie alla volontà di Maria Carolina D’Asburgo, figlia di Maria Teresa, che convolò a nozze con Re Ferdinando IV di Borbone, e che introdusse a corte l’uso della bevanda, circondata da un’austera regalità.


Ritualità di somministrazione diffusa, poi trasmigrata nella successiva diffusione nei vicoli del cuore antico della nostra città, con l’apparire della figura dei caffettieri ambulanti. Questi percorrevano l’intera cinta urbana con i loro recipienti ripieni di caffè, latte, tazze e zucchero, per servirlo e farlo conoscere alla popolazione, superandone la superstizione che lo voleva foriero di cattivi presagi, poiché caratterizzato dal colore nero.
In merito agli strumenti di preparazione, anche qui i napoletani sono stati degli avanguardisti, dalla “cocumella” – la caffettiera napoletana inventata dal francese Morize – che alternava il metodo di decozione alla turca con quello ad infusione alla veneziana, sino agli albori del secolo scorso, il Novecento, che segnò l’introduzione della “macchina per espresso napoletano”.


Dopo quest’agnizione, dunque, tornando ai giorni nostri, Napoli è divenuta una vera e propria città laboratorio per il caffè, laddove se ne sperimentavano tipologie diverse, con livelli differenziati di tostatura dei chicchi, che finiva con l’esaltarne gli olii essenziali contribuendo ad una migliore estrazione degli aromi.
Diversamente dagli altri baristi italiani, infatti, i napoletani non manovrano macchine moderne automatiche o semi-automatiche, facendosi interpreti del ruolo della tradizione: preferiscono dunque ancora quelle a leva, che riescono a produrre un’estrazione completa della miscela, caricando non acqua stagnante ma acqua pulita, direttamente dalla caldaia.


Tra i caffè più prestigiosi che consigliamo ai nostri clienti, anzitutto una tappa obbligata è dallo storico Caffè Gambrinus, forse quello il cui retaggio mitteleuropeo, di cui dicevamo poc’anzi, è maggiormente percepibile dai visitatori. Bar pasticceria e gelateria, dunque, ma anche un luogo dove la convivialità è accentuata, da sempre ritrovo di intellettuali, politici e uomini d’affari, frequentato segnatamente anche dai Presidenti della Repubblica italiani in visita a Napoli, ubicato in una delle piazze più suggestive e scenografiche della città.
Imperdibile il caffè alla nocciola, il “primo caffè gourmet napoletano”, ma anche da assaggiare la “Barbajata”, il caffè preferito da Gioacchino Rossini, in tema di rimandi culturali e di un soggiorno partenopeo del compositore, con cremina di zucchero, caffè, cioccolata calda e panna montata.
Infine, forse il nostro preferito in assoluto, il Caffè del Professore, che serve la bevanda rigorosamente in tazza calda con bicchiere d’acqua correlato da bere prima, perché il “caffè deve creare uno choc termico al palato, per essere gustato pienamente”, tra l’altro anche con l’omonima miscela di propria creazione. Forse la più ampia selezione di caffè in Napoli, noi consigliamo quello al nocciolino, il “brasiliano”, aromatizzato al pistacchio, il luogo in cui il “caffè nero” trova la propria sublimazione per eccellenza.